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Healthcare Network Partners

Intervista a Ilaria Piva, Head of communication
Healthcare Network Partners

La sanità, la salute pubblica, il suo ripensamento, la relazione con il settore privato sono oggi argomenti caldi e molto discussi.
Da una parte ci sono i governi, la politica, gli operatori sanitari concentrati sui numeri più che sui servizi, dall’altra il mondo privato del farmaco che sostiene nuovi spazi da dedicare ai pazienti. Questo spostamento di enfasi dal prodotto/servizio al paziente da parte dall’industria farmaceutica rappresenta un nuovo modello di business rispetto a quello esclusivo del farmaco di successo.

Di patient centricity in realtà si parla da molti anni: “The patient is our end user / medicine is for the people not for the profit” affermava Merck nel 1950, ma in realtà, vedremo, come il cammino è solo agli inizi. Sebbene l’85% delle aziende del pharma siano convinte che la patient centricity rappresenti il futuro del business ognuna poi interpreta a proprio modo il significato e la messa in pratica di questa centralità.

Vi occupate da sempre di servizi integrati al paziente, che significa cambiare modello e approccio?

In HNP abbiamo sempre avuto a cuore il paziente, per il quale abbiamo lavorato ampliando la nostra offerta di servizi utilizzando un approccio che partisse proprio dai suoi bisogni per la costruzione di soluzioni di valore.
Non possiamo quindi non avere una naturale tensione alla innovazione continua, perché il sistema Salute si muove rapidamente, oggi più che mai.
Di patient centricity si è parlato per molti anni, ma questo approccio è stato già superato: il paziente non deve stare al centro ed essere uno spettatore non può intervenire nella definizione del suo supporto, il paziente deve essere ingaggiato e prendere parte attiva nella definizione del suo modello di cura. Per un provider di soluzioni di salute l’attività primaria nella definizione della propria offerta è l’ascolto, tanto del paziente quanto di tutti gli stakeholders che prendono parte a un ecosistema complesso e pieno di interazioni come quello dell’healthcare.

Oggi si parla molto di servizi e di progettazione centrata sulle persone, nel vostro caso sul paziente, ma poi in pratica si fa poco a riguardo. Voi come la affrontate?

Ci impegniamo ad ascoltare i destinatari dei propri programmi. Questo sembra semplice e scontato, ma non è così. Per lungo tempo si è pensato alla progettazione di un’offerta che partiva da dati provenienti da indagini di mercato che non venivano localizzate, che davano una visione troppo alta e aggregata dell’informazione che doveva essere studiata: l’esperienza del paziente. Piano piano negli anni, con le opportunità offerte dal digitale, con l’eliminazione delle barriere fisiche, ci si è resi conto che anche il mondo dell’healthcare doveva ripensare al proprio approccio, perché i pazienti sono prima di tutto persone, con la loro storia particolare, con la loro journey definita, con le loro preferenze e attitudini, con una cultura che determinano alcuni valori, con una età che definisce degli atteggiamenti, con una determinata posizione geografica che, assieme all’attitudine tecnologica definiscono una identità. Il paziente vive la propria condizione di malato immerso nel mondo in cui viviamo tutti noi, possiamo non tenerne conto? Possiamo non analizzare in maniera profonda i suoi sogni, le sue speranze, le sue attitudini? Assolutamente no. Per questo da anni le nostre proposte presentano sempre una parte di analisi iniziale a cui abbiamo dato il nome di Patient experience design: studiamo l’esperienza della persona, raccogliamo gli insight che provengono dall’osservazione dei suoi comportamenti e costruiamo una offerta modulare e personalizzata. Proprio dai programmi che mettiamo in campo raccogliamo small data che sono la base per ragionare sulle evoluzioni degli stessi e – ancora più in grande – possono costituire la base per studi di real world evidence.

C’è il paziente al quale è destinato il servizio ma poi c’è l’industria del Pharma che rappresenta il business, come mettere insieme tutti i differenti interessi (e fare tutti felici)?

Una offerta su misura del paziente è una vittoria per l’Industria, perché significa che risponde a un bisogno inespresso e che aiuta l’esperienza legata alla terapia. Il mondo Pharma è consapevole che il prodotto sempre di più deve essere legato al servizio e che questo a sua volta deve essere personalizzato, perché l’offerta aumenta e la sfida si gioca sulla qualità. Quando si parla di patient experience design non si incontra più tra i rappresentanti dell’Industria la stessa resistenza del passato. C’è ormai molta letteratura a riguardo e soprattutto un beneficio evidente portato da queste attività: la costruzione di servizi che rispondano a reali bisogni, con un notevole risparmio dovuto alla possibilità di focalizzare al meglio lo sforzo di risorse.

Credete nella centralità delle persone (medici, pazienti, infermieri, manager) tanto da diventare tutor della The Human Centered Design School, perché questa scelta?

Perché siamo i provider di soluzioni alle persone fatte dalle persone. Perché non possiamo permetterci di portare avanti il nostro approccio di patient experience design senza tenerci aggiornati, senza favorire la circolazione di know-how, senza arricchirci del contributo di chi porta spunti interessanti dall’esterno. La Salute non è un mondo a parte e questo new normal ce lo ricorda ogni giorno, in tutto quello che facciamo. Per questa ragione dobbiamo ragionare mantenendoci aperti, perché non dobbiamo mai smettere di imparare per riuscire ad offrire soluzioni di valore.

So che non puoi svelare la sfida assegnata ai partecipanti al corso, ma magari puoi farne capire il valore che tutti potrebbero trarne. Solo qualche indizio per far conoscere la portata non indifferente della sfida che proponete…

Ci sono malattie rare di cui molti di noi ignorano l’esistenza, eppure le persone che ne sono affette stanno attorno a noi: sono i nostri compagni di banco, i nostri colleghi, amano come noi le serie tv su Netflix o ascoltano lo stesso podcast che ci piace, usano Instagram per creare contenuti temporanei e fanno parte delle nostre stesse communities. Interazione e comunicazioni sono due aspetti che nella journey di malattia possono influire notevolmente sulla gestione della cura. E non aggiungo altro perché ho detto fin troppo 🙂